mercoledì 31 agosto 2016

RILKE e l' UNICORNO ... la storia inizia già nel 1907

L'unicorno nella Basilica di s.Pietro 
a Roma (navata centrale, 
seconda arcata a sinistra) 
Se il comportamento tenuto da Rilke in occasione dell' Enteignis Giove-Saturno del 10 settembre 1921 dimostra chiarissimamente che a quella data il poeta è ormai consapevole del ruolo simbolico ed ermetico dell'unicorno, va tuttavia rilevato che Rilke aveva interesse per il mitico e mistico animale già nel 1907, quando gli dedicò la poesia che riporto qui di seguito (contenuta nella raccolta Neue Gedichte (Nuove Poesie))  [magistralmente letta in rete, in italiano, dal compianto Luigi Vannucchi] e quando poi scrisse sui famosi arazzi 'unicornici' di Cluny ne I quaderni di Malte Laurids Brigge (pubblicati nel 1910).

Ma ecco la poesia nell'originale tedesco, seguita dalla traduzione di Leone Traverso.

Das Einhorn
Der Heilige hob das Haupt, und das Gebet/ fiel wie ein Helm zurueck von seinem Haupte: 
denn lautlos nahte sich das niegeglaubte,/ das weisse Tier, das wie eine geraubte 
'huelflose Hindin' mit den Augen fleht.

Der Beine elfenbeinernes Gestell/ bewegte sich in leichten Gleichgewichten,
ein weisser Glanz glitt selig durch das Fell,/ und auf der Tierstirn, auf der stillen, lichten,
stand wie ein Turm im Mond, das Horn so hell,/ und jeder Schritt geschah, es aufzurichten.

Das Maul mit seinem rosagrauen Flaum/ war leicht gerafft, so dass ein wenig Weiss
(weisser als alleas) von den Zaehnen glaenzt;/ die Nuestern nahmen auf und lechzten leis.
Doch seine Blicke, die kein Ding begrenzte, warfen sich Bilder in den Raum
und schlossen einen blauen Sagenkreis.

Ecco ora L'unicorno nella traduzione di Leone Traverso (con qualche ritocco):
Levò la testa il Santo e dalla testa gli cadde come un elmo la preghiera:
ché a lui in silenzio la candida (e mai creduta) fiera veniva, come
cerva prigioniera, alzando gli occhi in supplice protesta.

Gli zoccoli d' avorio tramutava in leggeri equilibri l'unicorno.
Correva la pelle in onde uno splendende chiarore, e sulla silente fronte placida
raggiava come una torre nella luna il corno luminoso, che ad ogni passo alto si inalberava.

Sparso di pelo cinerino biondo, il labbro schiuso, un biancore risplendeva 
- più d'ogni cosa bianco - dai denti. Le froge anelito sommesso affannava,
ma gli sguardi, che nulla limitava, in figure scagliandosi nel mondo
chiudevano un cerchio azzurro di leggende.
                                                 *              *             *
Ecco infine "L' unicorno" - nella versione di Leone Traverso - magistralmente recitato dal bravo e compianto Luigi Vannucchi, qui:  http://www.youtube.com/watch?v=sn0O3tH8Iv0 

venerdì 19 agosto 2016

Die Rilkes SONETTE AN ORPHEUS I-XI und II-IV und die JUPITER-SATURN KONJUNKTION vom Herbst-Winter 1921-1922

Ecco dunque tra i Sonetti ad Orfeo di Rilke un paio di esempi che dimostrano chiaramente come il poeta nei mesi tra l'agosto 1921 ed il febbraio 1922 stia ispirandosi al fenomeno astronomico che ha sotto gli occhi (cioè alla congiunzione Giove-Saturno in previsione del cui arrivo ha cercato tenacemente ritiro e concentrazione): sono i sonetti n. XI della prima parte e n. IV della seconda parte. Per necessità di fedeltà al testo originale li riporto in tedesco, indicando poi tre comodi volumi ove trovare le traduzioni in italiano. 

Sonett I - XI
Sieh den Himmel. Heisst kein Sternbild 'Reiter'?
Denn dies ist uns seltsam eingepraegt:
dieser Stolz aus Erde. Und ein Zweiter,
der ihn treibt und haelt und den er traegt.

Ist nicht so, gejagt und dann gebaendigt,
diese sehnige Natur des Seins?
Weg und Wendung. Doch ein Druck verstaendigt.
Neue Weite. Und die zwei sind eins.

Aber sind sie's? Oder meinen beide
nicht den Weg, den sie zusammen tun?
Namenlos schon trennt sie Tisch und Weide.
Auch die sternische Verbindung truegt.            Sonett II - IV
Doch uns freue eine Weile nun                         O dieses ist das Tier, das es nicht gibt.
der Figur zu glauben. Das genuegt.              Sie wusstens nicht und haben jeden Falls
    - sein Wandeln, seine Haltung, seinen Hals,
  bis in des stillen Blickes Licht - geliebt.

 Zwar war es nicht. Doch weil sie's liebten, ward
ein reines Tier. Sie liessen immer Raum.
Und in dem Raume, klar und ausgespart,
erhob es leicht sein Haupt und brauchte kaum

zu sein. Sie naehrten es mit kleinem Korn,
nur immer mit der Moeglichkeit, es sei.
Und die gab solche Staerke an das Tier,

dass es aus sich ein Stirnhorn trieb. Ein Horn.
Zu einer Jungfrau kam es weiss herbei -
und war im Silber-Spiegel und in ihr.


Traduzioni italiane con testo originale a fronte in:
- R. M. Rilke, I sonetti a Orfeo, Feltrinelli-Classici, 1998
- R. M. Rilke, Poesie, RCS-Corriere della Sera, 2004
- R. M. Rilke, Sonetti a Orfeo, NewtonCompton tascabili, 1997

                                                                        

giovedì 18 agosto 2016

"Und die zwei sind eins." - oder RILKES EINHORN 1921 im Sternbild der Jungfrau

Rilke a Sierre (ca. 1921 - 1922)
Una delle tante prove dell' esattezza della mia teoria sulla rilevanza storico-filosofica/ metafisica delle congiunzioni Giove-Saturno è il comportamento del poeta Rainer Maria Rilke (1875-1926) all' approssimarsi della congiunzione G-S del 1921, che ebbe luogo il 10 settembre di quell' anno nella costellazione della Vergine.

Trascorso l'inverno del 1920 al castello di Berg am Irchel, vicino Sciaffusa (Svizzera), nella primavera 1921 Rilke convince la sua amica Baladine Klossowska della necessità di lasciarsi, per il suo assoluto ed imminente bisogno di purificazione, di concentrazione e di lavoro in solitudine; lei lo comprende. Alla ricerca di una nuova abitazione per lui, insieme incominciano così a percorrere il Canton Vallese, ove infine - sopra Sierre, a Muzot - nel giugno 1921 trovano un piccolo vecchio castello del XIII sec. in posizione isolata e sopraelevata, che lui sente adatto al suo monastico desiderio di ritiro e di lavoro e che il suo benefattore Werner Reinhart subito affitta per lui. Allestita e sistemata la nuova residenza con l'aiuto della Klossowska, poi partita per Berlino, Rilke vi si installa soddisfatto da metà luglio ed il 25 luglio ne scrive entusiasticamente alla principessa Marie von Turn und Taxis: " ... It [the Tower of Muzot] lies about twenty minutes quite steep above Sierre, in a less arid, happy rusticity with many springs tumbling through it, with views into the valley, over to the mountain slopes and into most wonderful dephts of sky. A little rustic church, situated above somewhat to the left in the vineyards, ... belongs to it."


Die einfache Jupiter-Saturn konjunktion geschehen
im Sternbild der Jungfrau am 10 Sept. 1921
Dei mesi che seguono sappiamo poco, a parte di un inizio di corrispondenza (17.12.1921) con il poeta francese Paul Valéry. Quel ch' io presumo (a partire dalla fenomenologia e temporalità del fenomeno che secondo me Rilke stava evidentemente aspettando) è che egli sera dopo sera egli sia stato ad osservare Giove avvicinarsi sempre più a Saturno, per poi non vedere più nulla nei giorni intorno al 10 settembre, per poi infine - dopo un po' di giorni - tornare rivedere Giove all' alba, ormai a sinistra di Saturno. Dopo 4-5 mesi (quindi verso gennaio-febbraio 1922), avanzata la Terra di quasi metà della sua orbita, la coppia G-S [distanziata di una decina di gradi] tornava ad essere visibile per tutta la notte ed il fenomeno della congiunzione poteva praticamente considerarsi concluso.

La cosa stupefacente in tutto ciò è che - a dire dello stesso Rilke - il poeta ebbe i giorni più produttivi di tutta la sua vita proprio ai primi di febbraio 1922, cioè alla conclusione del periodo nel quale lui si era programmaticamente posto - possiamo dire - all' ascolto della voce dell' universo. Fu in quei giorni infatti che terminò le Elegie Duinesi (incomplete da molti anni) e scrisse l'intera raccolta dei cinquantacinque Sonetti ad Orfeo. Con telegrammi e lettere comunicò poi ad amiche ed amici la conclusione di quello straordinario periodo; il 9 febbraio ad esempio scrisse alla Klodowska: "Merlina [la chiamava così], sono salvo! Quello che mi pesava e mi angosciava di più è fatto, e gloriosamente, credo. Fu solo qualche giorno: ma non ho mai subìto un simile uragano di cuore e spirito. Ne tremo ancora, questa notte ho pensato di venir meno; ma ecco, ho vinto ..."
                                                             -  -  -
Pensavo, cari lettori, di concludere riportando un paio dei Sonetti ad Orfeo che supportano la mia interpretazione di quel che avvenne al castello di Muzot nell'autunno-inverno del 1921, ma data l' ora ormai tardissima mi limito ad indicarveli: sono l' I-XI (Sieh den Himmel./Guarda il cielo.) ed il II-IV, quello sull' unicorno (O dieses ist das Tier, das es nicht giebt./Oh, questo è l'animale che non c'è.). Li riporterò quanto prima in un prossimo articolo su questo blog. Buona notte a tutti !! 

lunedì 1 agosto 2016

PHILOSOPHIEREN oder DENKEN ?! - FILOSOFARE o PENSARE ?!

Niemand wird bestreiten wollen, dass heute ein Interesse fuer die Philosophie besteht. Doch gibt es heute noch etwas, wofuer der Mensch sich nicht interessiert, in der Weise naemlich, wie er das "Interessieren" versteh? 
Inter-esse heisst: unter und zwischen den Sachen sein, mitten in einer Sache stehen und bei ihr bleiben.
....
Dass man fuer die Philosophie ein Interesse zeigt, bezeugt noch keine Bereitschaft zum Denken.
...
... selbst die Tatsache, dass wir uns Jahre hindurch mit den Abhandlungen und Schriften der grossen Denker eindringlich abgeben, leistet noch nicht die Gewaehr, dass wir selber denken oder auch nur bereit sind, das Denken zu lernen. Im Gegenteil: die Beschaeftigung mit der Philosophie kann uns sogar am hartnaeckigsten den Anschein vorgaukeln, dass wir denken, weil wir doch unablaessig "philosophieren".
...
Das Bedenklichste in unserer bedenklichen Zeit ist, dass wir noch nicht denken.
...
Das Bedenkliche, das, was uns zu denken gibt, ist demnach keinesweg durch uns festgesetzt, nicht durch uns nur vor-gestellt. Was am meisten von sich aus zu denken gibt, das Bedenklichste, ist nach der Behauptung dies:  dass wir noch nicht denken.

[aus: Martin Heidegger, Was heisst Denken?, Reclam jun., Stuttgart 2007, S. 5-6]